Parliamo di cecità .Parliamone, perchè c'è chi ha paura delle parole , paura di utilizzare le parole giuste per descrivere un handicap, una condizione , e perchè vivamo in pieno contrasto con una componente insita nell'uomo , l'ipocrisia , che ostacola la sana curiosità di voler nominare senza appesantire nè giudicare.
Sentiamoci liberi di chiamare le cose col loro nome..
Da “Il Resto del Carlino” di Bologna.
Un cieco non vuole pietà ma libertà di muoversi. Fatti non vuote parole. (…)
Il termine cieco come aggettivo e sostantivo non è offensivo ma esprime una condizione, quella della cecità; dicendo “non vedente” , si dovrebbe forse dire anche non vedenza ? E’ insensato!
Comunque il cieco in qualsiasi modo lo si chiami rimane cieco.
Riguardo alle diverse abilità non mi risulta che un cieco le possegga: é privo di un senso importante e non ne ha un sesto. Un cieco è come tutti! La differenza è che non può leggere nè scrivere e ha una difficile mobilità. La conoscenza del braille e l'uso del bastone, sarebbero queste diverse abilità? Chiunque le può imparare volendo, ma solo per un cieco sono indispensabili.
Chiamate un cieco col suo nome ma lasciatelo libero di muoversi da solo senza il rischio di calpestare escrementi canini, di dover cercare un varco tra le auto in sosta sui marciapiedi, dategli i semafori acustici, non costruite rotonde in città.
Nessuna pietà! Solo comprensione.
Chiara Carlini